Testimonianza di Manni Celestino, Lancellotti Franco, Maggi Eva, Zaccanti Alberto, Tonino della Morandella, Tonelli Giosuè
Il 28 Settembre 1944 giunsero a Ronchidoso alcuni plotoni di alpini tedeschi; provenivano da casa Berna di Lizzano in Belvedere, ove avevano operato la nota strage di ventinove civili.
Percorso il crinale: Corona-Monte Belvedere-Monte Gorgolesco-Ronchidos, si disponevano a fortificare quella zona che sarebbe poi diventata la famosa "linea verde" voluta da Kesselring.
Dalla casa di Ronchidoso di sotto, piena di partigiani, partì una raffica di mitra in direzione dei tedeschi. La loro reazione fu immediata. I partigiani, favoriti dalla nebbia, riuscirono a sganciarsi, abbandonando un centinaio di pagnotte di pane appena sfornate. Fu forse questo il primo indizio che insospettì i tedeschi. Con un primo rastrellamento raccolsero ventidue civili che rinchiusero in un ambiente di Ronchidoso di sotto. Altri civili furono rastrellati e rinchiusi in altre case. Il giorno seguente iniziò la strage.
Diciotto, dei ventidue civili rinchiusi a Ronchidoso di sotto, furono incolonnati e condotti verso Casone dell'Elta. Là verranno fucilati ed i loro cadaveri, ammucchiati e ricoperti di fieno, tolto da due pagliai vicini, vennero bruciati.
A casa Lamme altri quindici civili, dopo essere stati passati per le armi, furono gettati nel fienile e bruciati.
A cà d'Ercole venti persone furono fucilate: i tedeschi tentarono quindi di bruciarle, come nei casi precedenti, ma si ottenne solo un bruciacchiamento parziale, dovuto al fatto che il foraggio era scarso.
A Ronchidoso di sopra, oltre al partigiano Rossano Marchioni detto Binda, furono fucilate otto persone fra cui due coniugi e il loro bimbo di pochi mesi. Altri testimoni affermano che l'efferatezza tedesca sarebbe arrivata al punto di lanciare in aria la piccola creatura e sparargli a mo di bersaglio.
La strage ebbe poi un epilogo al Cargè dove furono fucilati due coniugi perché avevano ospitato un tedesco portato loro dai partigiani. Ma chi era questo tedesco e come era stato catturato? Bisogna risalire ad una sera dei primi d'agosto dello stesso anno quando una squadra di partigiani, della brigata Giustizia e Libertà operante a Ronchidos, giunse a Maserno dove vi era un magazzino di viveri tenuto in consegna da quattro soldati: tre austriaci e un tedesco della Sassonia. era questi un giovanotto d'una ventina d'anni, nazista convinto. Quella sera si trovava nella piazza in compagnia di una ragazza sfollata da Bologna, e fu lì che venne catturato.
Riuscì ad eludere la sorveglianza dei partigiani durante la rappresaglia, si fece riconoscere dai commilitoni e li guidò nelle varie case dove era stato alloggiato assieme ai partigiani, per far compiere la strage.
Per completare questa triste storia bisogna raccontare l'impiccagione di "Napoleone". Era questo il nome di battaglia di un ex aviatore francese, certo Jaacques Lepeyrie do Orléans, che, paracadutatosi in territorio controllato dai tedeschi, era poi diventato autista al loro servizio; successivamente era fuggito col camion per aggregarsi ai partigiani.
Napoleone, durante la rappresaglia del 28-29 settembre, riuscì, protetto dalla nebbia, a scavalcare il crinale ed a portarsi verso Moscheda. Catturato dai tedeschi, fu portato a Castelluccio. Siccome possedeva documenti tedeschi, disse di essere stato fatto prigioniero dai partigiani. In un primo tempo fu creduto e lasciato libero. Ma ecco che, in piazza a Castelluccio, incontra quel tedesco della Sassonia che era stato fatto prigioniero a Maserno e che, sfuggito ai partigiani, si era ricollegato ai suoi. Napoleone, riconoscendolo, gli andò incontro per tendergli la mano, ma quello gli sputò in faccia e lo smascherò dicendo che non solo era un partigiano, ma era un capo.
Gli abitanti di Castelluccio di Moscheda, in quella triste e nebbiosa mattina d'autunno, assistettero inorriditi alla lugubre cerimonia. Lungo il viale del cimitero fu issata una forca alla quale fu impiccato Napoleone mentre, ai suoi piedi, cadevano, trucidati da una raffica di mitra, due giovani sconosciuti. Uno si chiamava Tamarri Mario, l'altro Gentilini Luigi: entrambi erano di Pianaccio di Lizzano in Belvedere. Catturati dai tedeschi durante un rastrellamento per essere deportati in Germania, erano riusciti a fuggire. Non si sà quanta strada avessero percorso a piedi, ma quando i tedeschi li ripresero, avevano i vestiti laceri ed erano quasi scalzi.
La morte di Napoleone segna la fine della strage. Ma quando arriveranno i brasiliani, si constaterà che il conto delle vittime non è esatto: risulterà aumentato dai dieci cadaveri trovato, sotto un mucchio di patate, al Casone dell'Elta.
Zona di Montese. Trascrizione di testimonianze - Manni, Lancelotti, Zaccanti, Tonino e Tonelli
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