Mentre l’assemblea costituente del 1919 approvò la costituzione della nascente Repubblica di Weimar, le potenze vincitrici della prima guerra mondiale, che negli anni ‘20 poterono godere di un forte sviluppo economico, imposero alla Germania le condizioni estremamente dure e vessatorie del trattato di Versailles.
All’obbligo di abbandonare parti del proprio territorio a favore dell’occupazione da parte degli Alleati e all’imposizione del pressoché totale disarmo, si sommò il desiderio punitivo di molti governi, tra cui principalmente Francia e in misura minore Gran Bretagna, di imporre alla Germania sanzioni e insostenibili costi per i danni di guerra da riconoscere ai vincitori, la cui cifra fu fissata nel 1921 in 132 miliardi di marchi/oro, 33 miliardi di dollari USA, da pagare in 60 anni ad un interesse del 5%. Le possibili conseguenze della situazione non sfuggirono al giovene John Keys, economista presente ai negoziati in qualità di consulente, il quale si dimise dalla delegazione inglese e, rientrato in patria, scrisse un libro nel quale si accusavano di grave miopia i governanti dei Paesi vincitori. Keynes sosteneva infatti che i problemi economici e finanziari legati alle riparazioni erano stati sottovalutati e concludeva che l'imposizione di riparazioni così imponenti non era né ragionevole né realistica e avrebbe trascinato nella rovina non solo la Germania ma gran parte dell'Europa, la cui prosperità dipendeva da scambi e commerci. Di fronte all'intransigenza dei vincitori i negoziatori della Germania si trovarono in difensiva. Dopo altri tentativi di rinegozire i termini imposti la Germania scelse di non collaborare sospendendo i pagamenti in natura delle riparazioni che avvenivano in carbone e ferro dalle ricche miniere della Ruhr.
Mentre tali obblighi e imposizioni rafforzavano il nazionalismo tedesco e lo spirito di rivincita delle forze più reazionarie, a peggiorare il rancore dei tedeschi le truppe francesi, nel gennaio del 1923, occuparono la Ruhr, da cui proveniva il carbone per l’industria tedesca. I tedeschi della regione replicarono con la resistenza passiva e l’astensione dal lavoro. La mancanza di carbone e il costo delle forti spese per aiutare i connazionali, finanziando la resistenza passiva ovvero continando a pagare loro lo stipendio, portò il governo tedesco a ad autorizzare la stampa di grando masse di cartamoneta con il risultato di trasformare in poco tempo il marco in carta straccia. L'inflazione andò fuori controllo nello stesso anno quando per un dollaro occorrevano 4 trilioni di marchi portando ad una crescita esponenziale dei prezzi. Nei momenti più critici i lavoratori ricevevano lo stipendio giornalmente e correvano a spenderlo subito prima che l'inflazione ne divorasse il valore. Con una tale inflazione le finanze statali videro pressochè azzerarsi il debito della finanza di guerra ma milioni di famiglie videro andare in fumo i propri risparmi con inevitabili conseguenze sociali. La disoccupazione arrivò al 20% della forza lavorativa.
La classe dirigente della Germania cercò di reagire e nel 1923 il cancelliere Gustav Stresemann attuò la riforma per rivalutare il marco allora in vigore sostituendo il vecchio Papiermak con la nuova moneta, il Rentenmark il cui valore era garantito dal patrimonio agricolo ed industriale della Germania. Al cambio un nuovo Rentenmark valeva un miliardo di vecchi marchi.
Grazie alla nuova ed attenta politica deflazionistica, basata sulla limitazione del credito e della spesa pubblica e sull’aumento delle imposte, si riuscì anche a trovare un accordo con i vincitori riguardo alle riparazioni dei danni di guerra. In base al piano elaborato nella primavera del 1924 dal politico e finanziere americano Charles Dawes venivano concessi alla Germania dei termini più ragionevoli per il pagamento delle riparazioni e un prestito internazionale, che fu sottoscritto in larga parte da banche americane, attratte dai forti tassi di interesse.
In un anno i vecchi marchi furono sostituiti dai nuovi Reichsmark garantiti dalla banca Reichsbank appositamente costituita. Iniziò una seppur lenta ripresa, che dipendeva esclusivamente da finanziamenti da oltremare, che cessò bruscamente con la crisi del 1929 quando la depressione in America, scoppiata principalmente per la sovrapproduzione e amplificata dalla speculazione in borsa, decretò la fine dei finanziamenti alla Germania provocandone il rientro di molti negli Stati Uniti.