Su testimonianza di Nardi Clelia e Credi Carlo
E' l'11 marzo 1945, sono circa le nove del mattino: Clelia Nardi con la nipotina Imelde Fili, di quattro anni, sta tornando da Vignaletto di San Giacomo a Bago di Monese. Porta con sé un borsa contenete roba da mangiare, qualche oggetto prezioso, un po’ di denaro. E' arrivata a Montese dove, assieme ad altri sfollati, si trova la famiglia Credi delle "Coste" composta dai due genitori, Maria e Primo, e dai tre figli: Anita di 16 anni, Anna di 18, e Carlo. Maria chiede a Clelia di portare con sé Anna che, giorni prima, era stata colpita alla testa da un sasso, durante lo scoppio di una granata, rimanendone stordita e molto scossa. Quindi soggiunge che lei e gli altri sarebbero tornati alle Coste il giorno seguente al massimo, perché si era sentito dire che lì non c'erano più tedeschi e avrebbero provveduto a venire a prendere la ragazza.
Accompagnate dal saluto dei restanti, le due donne si mettono in cammino. Percorsi circa un centinaio di metri, in prossimità della botte del mulino, Anna inciampa in una mina. Un fumo denso e una pioggia causata dalla rottura di un tubo dell'acqua investono le due donne e la bimba che si sentono scaraventate a terra, semi incoscienti. La prima a riprendersi è Clelia, scossa dal pianto della piccola Imelde e dai lamenti di Anna, rimasta gravemente ferita e non più in grado di muoversi; anche Clelia è ferita alle gambe, in sette punti, con frattura del nervo sciatico e tuttavia sa che è lei l'unica a dover fare qualcosa: quindi, raccolta la nipotina anch'essa rimasta colpita alle gambe, un pò a carponi, un pò strisciando, si avvia alla stalla del Mulino (che fingeva da rifugio), chiamando aiuto con quanta forza può, senza ottenere risposta. Con un ultimo sforzo, riesce, rizzandosi in piedi con estrema fatica, ad arrivare alla stalla dove incontra Maria e la informa che Anna è rimasta nelle mine. Nel frattempo Anita e Primo, richiamati dal boato, si erano diretti verso il luogo da cui era pervenuto il rumore dello scoppio. Poco dopo, ecco arrivare Anita, ferita gravemente per avere inciampato in un'altra mina, seguita a breve distanza dal padre che porta in spalla Anna e che, ignaro di quanto è successo, rendendosene improvvisamente conto, guarda costernato lo spettacolo: "Anche tu, Anita, sei finita così?... Guarda, Maria, le nostre speranze di domani!....". E deposta Anna accanto alla sorella, nella stalla, si china a raccogliere nel cavo delle mani il sangue delle due figlie che uscendo copioso dalle ferite, ha formato in terra una piccola pozza. Intanto vengono prestati, dalla gente che si prodiga con tutti i mezzi, i primi soccorsi nel modo che si può: a causa del sangue perduto, le quattro donne sentono molto freddo e si cerca di scaldarle con bottiglie di acqua calda. In giornata, arriva il dottor Pallotti che, vedendo la situazione, non cerca nemmeno di nascondere la sua disperazione per non poter fare niente o quasi, disponendo solo di cotone idrofilo e di alcol.
Passano le ore e, con l'avvicinarsi della notte, rientrano, come ogni sera verso le 19-20, i tedeschi delle postazioni diurne: notano con disappunto la situazione e, poiché i feriti, lì, danno noia, requisiscono civili per il loro trasporto al pronto soccorso tedesco che è a casa Ghettino. Clelia chiede a un tedesco se, per favore, tenta di recuperare la borsa che è rimasta nel luogo della esplosione: si tenga pure tutto quello che vi trova da mangiare, ma mi faccia riavere, per cortesia, almeno il denaro che potrebbe rivelarsi indispensabile per le cure in ospedale; il tedesco dimostra molta indifferenza, asserendo inoltre che, in ospedale, non ci sarà bisogno di denaro.
Le donne ferite, sistemate alla meglio, vengono quindi trasportate a casa Ghettino, da dove il comandante non intende farle trasportare verso l'ospedale e pertanto vengono deposte nel giardino dove restano per ore, mentre primo sta cercando disperatamente un carro con bestie per trasportarle personalmente all'ospedale di Pavullo; ma i suoi tentativi risultano vani. Insperatamente, verso le sei del mattino, con grande sorpresa di tutti, si sente dire che i tedeschi provvederanno al trasporto in ospedale dei feriti. Tale decisione è dettata dal fatto che alle quattro donne si è aggiunto un nuovo ferito: si tratta di quello stesso tedesco a cui Clelia si era rivolta per chiedere di recuperarle la borsa: egli, assieme a un compagno, aveva tentato, ma i due erano inciampati nelle mine: l'altro era morto sul posto, questo era rimasto gravemente lesionato e morirà poi a Pavullo.
Si parte quindi con la vettura della croce rossa tedesca e tutto il viaggio è accompagnato dagli strazianti lamenti sopratutto di Anna e Anita che soffrono tremendamente. Arrivati a Pavullo, poiché l'ospedale civile è stato bombardato, i feriti sono ricoverati nel convento dei frati cappuccini che hanno messo l'ambiente a disposizione del pronto soccorso: i cinque vengono anestetizzati e si prestano loro le prime cure, nei limiti dei mezzi disponibili. Al risveglio, Clelia e Imelde sono state medicate; ad Anna sono state amputate tutte due le gambe già infette dal tetano; per Anita colpita dalle schegge all'intestino, non esistendo attrezzature idonee per un intervento così delicato, non c'è più niente da fare.
E così dopo atroci sofferenze, Anna dà il suo addio al mondo terreno nella serata del 15 marzo: se ne va insieme al sole che muore e quando il sole risorge, la mattina dopo, riceve l'estremo saluto di Anita che raggiunge la sorella nella pace eterna.
Zona di Montese. Trascrizione di testimonianze - Clelia Nardi e Carlo Credi
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