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Testimonianza di Maria Mecagni raccolta da Mattia Tonelli
Durante la seconda guerra mondiale e nel periodo della liberazione di Montese io mi trovavo al mulino di Mamino, nella frazione di San Martino, con la mia famiglia. Il 25 aprile 1945, i tedeschi passarono davanti al mulino urlando: “E’ finita! E’ finita!” e scappando il più lontano possibile.
Durante la guerra i tedeschi rubavano tante cose al loro passaggio come galline e mucche che poi uccidevano e mangiavano.
Un giorno i tedeschi si nascosero in una casa semidistrutta e rimasero esterrefatti quando videro per la prima volta persone di colore.
Durante la guerra passavano molti sodati e prigionieri; un giorno davanti a casa nostra passò un gruppo di prigionieri tra cui c’era un soldato inglese con un forte dolore ai piedi. Si fermarono una notte nel fienile e il giorno dopo, però, ripartirono lasciando lì il soldato inglese. Mia madre, allora, cercò di curargli le ferite ai piedi. Negli stessi giorni Mussolini emanò un ordine tassativo: “Chi ospitava inglesi o americani, doveva essere giustiziato”. Per mettere il soldato al sicuro, ma anche per non correre guai noi, lo nascondemmo nella soffitta. Riuscivamo a comunicare solo grazie al latino che lui aveva studiato ed io stavo studiando. Dopo alcuni giorni si riprese e, tramite un mercante di Salto che andava a Firenze, partì.
Alcuni giorni dopo venne ucciso un maiale e mia madre e mia sorella furono incaricate di cucinarlo. Da quella pentola di umido usciva un profumino invitante e quindi non vedevo l’ora di mangiarlo, ma in quel momento una cannonata ruppe la finestra e pezzi di vetro finirono nella pentola. L’unica cosa che mi dispiacque non fu il vetro rotto, ma il fatto che non potei assaggiare l’umido!
Appena seppi della liberazione avrei voluto andare in paese per vedere cosa era successo, ma mio padre mi rinchiuse in cantina.