Intervista a mia nonna Natalina Turrini. Testimonianza raccolta da Erika Battistini.
Io ho chiesto a mia nonna Natalina se sapeva qualcosa sulla Seconda guerra mondiale anche se lei è nata dopo, nel 1949, quando la guerra era già finita.
In famiglia però si è sempre parlato della guerra, tanto che lei mi ha detto che, essendo una bimba ed essendo i racconti terribili, avrebbe voluto che non se ne parlasse, ma per anni e anni in casa sua si parlò egualmente di fatti e persone coinvolte in piccoli e grandi eventi.
Gli anni 1944 e 1945 erano chiamati gli anni del fronte (“an de front” in dialetto), perché questa era una zona contesa tra gli americani e i tedeschi, c’era quindi il fronte dove bombardavano con i cannoni.
La notte i familiari di mia nonna non si fidavano di andare a letto, per paura di essere bombardati e andavano a dormire in cantina, sopra i mucchi delle patate che avevano raccolto, perché sisentivano più protetti.
Una notte, la mamma della nonna, Teresa Romagnoli, che dormiva assieme alle sue due bimbe di tre e cinque anni e a suo padre, perché suo marito, il mio bisnonno che si chiamava Leonardo Turrini, era partito per il fronte, ha sentito uno sparo di cannone e la porta della cantina è andata in frantumi. Sono riusciti a ripararsi dalle schegge e sono subito scappati via, ma dalla fretta una delle bimbe ha perso le scarpe. Bisognava scappare in fretta per cui non potevano fermarsi a cercare le scarpe.
La sua mamma allora l’ha presa in braccio ed ha continuato la fuga.
Si sono rifugiati in una casa sotto Monteforte, lì la cucina si trovava sotto terra per cui era più sicura. Dopo alcuni giorni sono sfollati a “Casa Salsiccia”, località che era già stata liberata dagli americani. A quei tempi tante persone facevano da guida a quelli che non conoscevano i posti per farli passare oltre la linea del fronte, dove combattevano e quindi dove non era difficile perdere la vita.
L’ospedale era stato improvvisato in un locale ai “Ferlari” di Materno: i feriti che riuscivano andavano a piedi fin là, quelli più gravi venivano trasportati su una scala di legno a pioli.
Tra i soldati tedeschi a volte se ne trovavano anche di quelli più umani.
Mia nonna ha sempre sentito parlare di un soldato tedesco che diceva di avere nove figli in Germania, ed è stato ucciso proprio a Monteforte, dove abitava la famiglia di mia nonna. E’ stato sepolto proprio lì, sotto un pero, ma poi, finita la guerra, i suoi compaesani sono tornati a prenderlo per riportarlo a casa, dove i suoi cari potevano almeno piangere sulla sua tomba.
Quando sono arrivati gli americani che hanno liberato il paese, è stata una festa per i bambini, ma anche per gli adulti perché hanno portato loro cioccolata, sigarette, caffè, quindi si sono fatti ben volere da tutti.
Il padre di mia nonna è partito nel 1939 ed è tornato a casa nel 1945, è stato a combattere in Grecia, poi è stato fatto prigioniero e portato nei campi di concentramento in Germania.
Fortunatamente si è salvato e da lassù è ritornato a casa a piedi.
Quando è arrivato a casa, quasi non riconosceva il posto dove abitava perché la casa era stata bombardata e non trovava più nemmeno la porta. Una vicina poi gli ha insegnato da dove si poteva entrare, perché solamente la cantina era ancora intatta e la famiglia si era trasferita lì.
Le sue figlie non lo riconoscevano perché una era piccola quando era partito e l’altra era nata dopo la sua partenza per la Grecia.
Quella più grandina addirittura aveva paura perché diceva che era un signore che non conosceva, e piangeva.
Finita la guerra, erano rimasti molti buchi nel terreno, formati dalle bombe che erano scoppiate. I bambini ci andavano a giocare, facendo finta che fossero piscine.
Questo dimostra come i bambini trovano sempre il lato positivo in tutte le cose, pure in una cosa atroce come è stata la guerra.
Zona di Montese. Trascrizione di testimonianze - Natalia Turrini
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