Intervista a Livio Bernardoni nonno di Caterina Michelini. Testimonianza raccolta da Caterina Michelini.
Montese si trovava proprio sulla linea del fronte e i montesini si ritrovarono a vivere situazioni davvero molto dure, di pericolo e privazioni di ogni genere.
La scarsità di cibo era costante, i tedeschi requisivano quel poco di cibo che veniva dal duro lavoro nei campi. Si viveva con la costante paura dei bombardamenti, durante i quali ci si nascondeva nei rifugi scavati sotto alle case o in quelli improvvisati nei boschi circostanti. Oltre ai bombardamenti vi erano regolari rappresaglie dei tedeschi nelle case in cerca di partigiani, la cui azione fu decisiva per la liberazione della Nazione dai tedeschi. Non mancavano le rappresaglie dei fascisti che facevano azione di guerriglia civile contro i loro stessi concittadini per difendere i tedeschi che erano nostri alleati, almeno in un primo momento.
Molte famiglie per evitare di vivere la terribile esperienza dei bombardamenti attraversavano il fronte per raggiungere i territori già liberati dagli americani.
Il nonno Livio Bernardoni attraversò anch'egli con la sua famiglia il fronte arrivando a Monteforte dov'era stanziato l'esercito americano, ma altri furono meno fortunati di lui perché, attraversando il fronte, finirono in campi minati e saltarono in aria insieme ad una mina calpestata incidentalmente.
TESTIMONIANZA DEI NONNI DI CHIARA QUATTRINI. Testimonianza raccolta da Chiara Quattrini.
Quando l‘Italia è entrata in guerra, la famiglia del mio bisnonno abitava in un paesino, chiamato Missano, vicino Zocca. Era composta da papà Aderilio Mezzadri, mamma Flavia Baraldi e sei figli: Ornella, Claudio, Anna, Gaetano (Tanino), Carmen e Ivo il mio bisnonno. Il trisnonno Aderilioaveva già partecipato alla prima guerra mondiale, così quando scoppiò la seconda toccò a Claudio partire per il fronte, il suo primo figlio maschio che rientrava proprio nell’annata che avevano richiamato. Era il 1941 e fu mandato in Russia da dove continuò a mandare delle lettere fino al gennaio del 1943; poi non si ebbero più notizie di lui e fu dato per disperso. Nel frattempo, il mio bisnonno Ivo era rimasto a casa, aveva soli tredici anni, era un Balilla e nelle manifestazioni paesane, indossava una camicia blu, pantaloni verdi e un cappellino con il fiocco. Le femmine indossavano una camicia bianca, una gonna nera e un fiocco azzurro al collo. I fascisti e i nazisti indossavano una divisa grigio-verde e un “ fez ” cioè un cappello nero. Ivo, a diciassette anni, forniva informazioni a suo cugino, che era capo formazione di un gruppo di partigiani, sui movimenti dell'esercito tedesco e fortunatamente non venne mai scoperto. Ivo tutte le sere andava a casa di sua zia per ascoltare Radio Londra (cosa proibita) e tramite essa, veniva informato dell’arrivo dei tedeschi cosicché poteva avere il tempo di scappare e nascondersi nei boschi.
In quei tempi il cibo si razionava e poteva essere acquistato solo con una tessera distribuita dal governo. Non si poteva acquistare più di un chilo di pane nero, di pasta e verdure; questo portò alla nascita del mercato nero, un commercio clandestino grazie al quale si poteva acquistare altro cibo a prezzi più cari, era necessario farlo perché il cibo razionato era insufficiente per la sopravvivenza delle famiglie. La carne si mangiava due o tre volte l’anno; per condire i cibi si usava pochissimo sale e l’olio era troppo costoso per essere comprato. A scuola in quei tempi c’era un unico libro di testo, le classi erano miste e c’era un unico maestro. Ivo lavorava per ordine dei tedeschi vicino al fiume dove un giorno un apparecchio degli alleati li bombardò. Ci furono un morto e un ferito, che dopo poco tempo morì. Dopo questo avvenimento i tedeschi li portarono nei rifugi che furono abbattuti, in seguito, dagli alleati.
Invece la mia bisnonna Fernanda Passini ricorda che una volta al mese le bambine dovevano indossare la divisa da Balilla e andare a piedi da Missano fino in piazza a Zocca, dove i tedeschi insegnavano loro tutti i comandi militari e le facevano cantare ”Faccetta nera” poi, come premio per invogliarle a tornare il mese dopo, le portavano all’osteria e compravano loro una focaccina, cibo prelibato in quei tempi.
La mamma del mio papà, la nonna Luisa Mazzini, quando è scoppiata la guerra aveva quindici anni e abitava a Sasso Guidano (Pavullo), sotto alla sua casa avevano scavato e costruito un rifugio molto grande: ci stavano fino a quattro famiglie molto numerose. Così quando gli alleati sparavano i fumogeni loro sapevano che stavano per iniziare i bombardamenti e subito andavano a ripararsi dentro quel rifugio. Però, prima di scappare a nascondersi, aprivano tutte le finestre per evitare che si rompessero tutti i vetri a causa della deflagrazione della bomba.
Un giorno la mia nonna era già andata a ripararsi nel rifugio, quando si è ricordata di non averli aperti così è uscita per andarlo a fare ma, mentre raggiungeva la casa, hanno sparato una cannonata che l’ha sfiorata e l’ha sbattuta contro un muro della casa ricoprendola di detriti, per fortuna se la cavò solo con una gran paura.
La nonna racconta anche che i tedeschi per rappresaglia bruciarono tante case intorno alla sua, gli abitanti erano sospettati d'aver aiutato i partigiani. Durante gli anni della guerra andarono a casa sua due tedeschi: un sergente e un caporale, essi reclutavano uomini civili, pagandoli, per costruire postazioni tedesche. Però reclutarono solo il fratello della nonna perché volevano che suo padre stesse a casa, pagato ugualmente, perché cucinasse per loro la polenta di frumento con le uova.