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TESTIMONIANZA DI CESARINA TURRINI RACCOLTA DA DANIELE BERNARDI
Nell’ autunno del 1944 la situazione peggiorava tutti i giorni, per sicurezza la mia famiglia si trasferì ”al Culcarello” di Castelluccio di Moscheda; ogni tanto io e mio padre, di nascosto, tornavamo a prendere quel po’ che era rimasto a casa, mio padre si fermava ad un centinaio di metri da casa nascondendosi dietro ad un pagliaio per paura di incontrare dei tedeschi, che lo avrebbero catturato; io andavo a casa, prendevo un po’ di roba e tornavo da mio padre. Su indicazione del mio papà, una volta, andai nel pollaio e trovai in mezzo al fieno, dove le galline facevano l’ uovo, una coppa di testa nascosta.
Nel febbraio del 1945 sfollai a Porretta T., partii con mio padre e una mia vicina: la “Gemma”. Prima di sfollare i tedeschi ci sequestrarono due delle tre mucche che possedevamo, l’unica rimasta la lasciammo in custodia a dei nostri amici, ma purtroppo venne ferita da colpi di mitra e morì. Prima di sfollare la nostra vicina con la scusa di andare a pascolare le pecore (perché i tedeschi controllavano gli spostamenti delle persone) andò da sua sorella a Iola e le lasciò le pecore. Il giorno dopo alle 4 di mattino partimmo per Monteforte dove ci nascondemmo in una cantina, perché era in atto un bombardamento; arrivò una cannonata che distrusse la casa, ma noi fortunatamente ci salvammo. A Iola successe una cosa stranissima: praticamente quando noi camminavamo, nelle vicinanze sentimmo il fruscio delle foglie così pensammo che fossero i tedeschi; ci fermammo per un po’, poi ripartimmo. Successivamente, varcato il fronte, mentre aspettavamo che i soldati alleati togliessero le mine antiuomo sotterrate dai tedeschi arrivarono i nostri zii e cugini, dai loro discorsi capimmo che dall’ altra parte della strada c’erano loro, che avevano le nostre stesse sensazioni, quanta paura per niente!!! Mentre noi parlavamo con i nostri parenti, la nostra guida che ci aveva accompagnato per tutto il percorso, chiese ai soldati da dove venissero e loro dissero: ”Brasilero”. Questi brasiliani ci offrirono pane bianco (senza la crusca) e cioccolato, marmellate e altre cose buone. Continuammo il cammino e arrivammo a Silla dove c’era mio zio Lino che stava facendo dei lavori sotto la guida di una guardia americana; lo zio vedendoci arrivare ci corse incontro per salutarci, la guardia ignara di quello che stava capitando credette che mio zio volesse scappare, lo raggiunse e gli mollò un calcio nel sedere. Proseguimmo e a Porretta i soldati ci chiesero se avevamo dei conoscenti o dei parenti da cui andare, noi decidemmo di andare da un nostro amico ambulante che veniva da noi per rifornirsi di galline, uova, conigli ecc… Da lui dormivamo sopra le gabbie dei conigli, senza coperte e senza cuscino. Un giorno andammo in paese e in una cucina trovammo mio fratello che vi lavorava. Proprio qui scoprimmo dai soldati e dai cittadini che era stato liberato Montese. A Porretta si mangiava tantissimo perché mio fratello lavorava per i brasiliani e quindi ci portava sempre qualcosa. Ogni domenica andavamo a messa dai frati; una domenica arrivò una cannonata e il tetto della chiesa venne colpito, non cadde, ma caddero tantissimi calcinacci. Gli italiani scapparono tutti, mentre i brasiliani restarono in chiesa senza muoversi, segno di una grandissima religiosità. Tornammo a casa il 26-4-1945 dopo sei mesi di sfollamento, la casa era distrutta ed era stato rubato tutto il grano, non avevamo più neanche una mucca. C’era una povertà tale che feci i tortelloni per i muratori, ma al posto delle uova che non avevo ci misi l’acqua, quando li misi a bollire si spappolarono.
Non avevamo proprio niente al punto che la polenta la condivamo con un po’ di aceto e basta.