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Testimonianza di Mecagni Maria
Era il tramonto di una limpida giornata dell'ottobre 1943. Guidati da Borri Antonio di S.Martino, giunsero al mulino di Mamino tre militari alleati, fuggiti dal campo di concentramento di Fossoli. Erano già stati ospiti del Borri che, consapevole del rischio a cui poteva andare incontro, cercava di aiutare quei fuggiaschi a proseguire il cammino verso sud.
Per una notte dormirono in un casolare abbandonato nei pressi di S.Martino. Al mattino seguente due di questi, uno si chiamava John e l'altro Donald, partirono per Maserno, il terzo invece, Derek Monsej, non poté proseguire il cammino perché febbricitante e con i piedi pieni di piaghe e di vesciche. Fu allora ospitato e ben nascosto dalla mia famiglia.
Lo vedo ancora, nella vecchia soffitta, fra rottami e ragnatele, seduto su uno sgangherato seggiolone, timoroso, spaventato, conscio del pericolo cui andava incontro lui e chi lo curava e nutriva. Aveva vent'anni, era tenente, non conosceva una parola d'italiano, ma, facilitato dagli studi di latino compiuti e animato da una grande volontà, nei venticinque giorni di permanenza al Mulino riuscì ad imparare una discreto numero di vocaboli tanto da sapersi discretamente disimpegnare. Se non altro, il tempo impiegato nello studio della nostra lingua e nelle traduzioni di pagine e pagine di latino, lo aveva aiutato a sopportare la sua "prigionia" in quei pochi metri quadrati di spazio per niente accogliente.
Appena guarito trovammo il modo di affidarlo ad un uomo di Salto che doveva andare a Roma. Fu vestito con abiti borghesi, lasciò tutto ciò (compresa la pipa), che poteva far riconoscere in lui un fuggitivo inglese, ripeté per un giorno intero: "sono uno studente, vado a Roma dal Papa". Nella sua ingenuità pensava che i tedeschi l'avrebbero bevuta.... Quando ci salutò aveva le lacrime agli occhi, provava a sorridere, ma aveva tanta paura.
Ci baciò tutti più volte; lungo l'erto sentiero si voltava ogni tanto per gridare: "Arrivederci, arrivederci", Era l'alba.
Circa una settimana dopo, e precisamente il 18 novembre 1943 - una fitta nebbia avvolgeva la vallata - giunsero al Mulino i militi delle Brigate nere, armati di mitra e di prepotenza. Mio padre era a letto con qualche linea di febbre, salirono in camera e..." poche storie, salta giù e vieni con noi!". "Perché?" Osò chiedere lui, ma non ebbe risposta. Nella casa calò il silenzio interrotto ogni tanto dai singhiozzi nostri e di mia madre e dalle imprecazioni dei fascisti che gli rinfacciavano il suo grave peccato: aveva ospitato, nutrito, curato un pellegrino straniero, ma aveva disobbedito ad una legge impostaci da un altro straniero che voleva farci credere che la carità è un peccato.
L'arrivederci di Derek urlato sul sentiero al momento della sua partenza di avverò nel maggio del 1948. In precedenza aveva scritto: "in occasione di un mio viaggio per un servizio giornalistico sul "maggio fiorentino" verrò a trovarvi". Quando arrivò era notte. L'incontro fu commovente e rinsaldò quei legami di amicizia che si erano creati, anni prima, in una tragica situazione.
Qualche anno dopo mi giunse un libro da lui scritto, intitolato "L'eroe", edito da Longanesi e dedicato "A Maria e alla sua famiglia. S. Martino di Montese".