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Testimonianza di Armida Leoni (classe 1915) raccolta da Chiara Bertoni e Gaia Miliciani
Alla fine del 1943, ospitammo un soldato inglese ferito a un piede. Era fuggito da un campo di concentramento di Milano. Lo curammo e gli demmo da mangiare per un po’.
Poi qualcuno fece la spia e la notte del 28 dicembre arrivarono i fascisti e i tedeschi che prelevarono il soldato e anche mio marito. Per 40 giorni non sapemmo niente di nessuno dei due. Poi arrivò una lettera scritta da un compagno di mio marito (lui era analfabeta) e così venimmo a sapere che egli si trovava a Modena nel carcere di S. Eufemia dove rimase tre mesi. Successivamente venne trasferito a Bologna nella prigione di San Giovanni in Monte dove fu trattenuto per altri sei mesi. Ogni tanto suo fratello Sisto andava a trovarlo per portargli vestiti, cibo e sigari. Intanto don Cavallini, parroco di Montespecchio, aveva scritto alle autorità una lettera in cui chiedeva "un occhio di riguardo per mio marito, persona perbene e padre di famiglia". Finalmente, dopo nove lunghi mesi, egli venne rilasciato e potemmo riabbracciarlo.
Nel marzo del 1945 arrivarono i tedeschi e si insediarono in casa nostra: a noi non rimase che sfollare. Partimmo una sera diretti a Maserno. Eravamo io, mio marito e i nostri tre figli: Gianni (10 anni), Maria (4 anni) e Virginia (2 anni). Io portavo un prosciutto a tracolla, avevo la piccola Virginia in braccio e per mano tenevo una mucca. Arrivati a casa Campagna, incontrammo una conoscente che, per agevolare il nostro cammino, si offrì di tenere Maria e i buoi condotti da mio marito. Poco più avanti, ci imbattemmo in una pattuglia tedesca che ci impose di tornare indietro. Fu la nostra fortuna, perché a casa Campagna trovammo la piccola, da sola, dentro una stanza: dei buoi e della donna nessuna traccia. Che fine avevano fatto? Riprendemmo il viaggio. Dopo un po’, ci accorgemmo che Maria aveva perso una scarpina e non riusciva più a camminare. Arrivati ai Cannoni, mio marito rintracciò un calzolaio che approntò in fretta e furia la scarpa per la piccola.
Era ormai l’alba quando giungemmo alla meta e cioè a casa Bernardini dove abitava il sig. Baldini che mio padre conosceva bene. Stremati dal viaggio, ci abbandonammo sul pavimento della stalla e ci addormentammo all’istante.
Si stava tanto bene, il pavimento non era poi così duro. Quando mi svegliai, mi accorsi che avevo posato il capo su sterco di mucca: ecco spiegato il mistero della morbidezza.
Ci trattenemmo circa un mese.
Ci nutrivamo con il latte della mucca e i suoi derivati, col prosciutto e scambiandoci il cibo con gli altri sfollati e le famiglie vicine. Il pericolo più grande erano le mine sparse ovunque. Ricordo che un giorno morì ai Tosetti un ragazzo di nome Fioravante Marcacci, poiché una delle mucche che conduceva aveva pestato e fatto scoppiare una mina. Un’altra volta, mio figlio e un suo coetaneo avevano portato al pascolo le pecore e lì vicino scoppiò una mina. Non riportarono ferite evidenti, ma mio figlio avvertiva bruciore a un occhio. Non ci facemmo caso più di tanto, ma con l’andare del tempo da quell’occhio perse la vista.
Il 25 aprile sentimmo gridare: ”Ci sono i Brasiliani, ci sono i Brasiliani!”.
Vedemmo tanti soldati che distribuivano caramelle e cibo ai nostri bambini. Eravamo tutti felici. Finalmente la guerra era finita. Quel giorno nacque una bimba e venne chiamata Brasiliana in onore dei liberatori.
Per ricompensare chi ci aveva ospitato, lasciammo lì la mucca e facemmo ritorno a casa.
La trovammo lesionata e in pessime condizioni, ma poco importava: eravamo a casa nostra e, ora che la guerra era finita, niente ci faceva più paura. Ricordo che, prima di partire, avevamo nascosto sottoterra del grano e vi avevamo seminato sopra dell’insalata per nasconderlo meglio e lo ritrovammo.
Sotto il pavimento della stalla, invece, avevamo nascosto posate, piatti e bicchieri che ci erano stati regalati quando ci eravamo sposati. Purtroppo i tedeschi avevano usato proprio quel punto come gabinetto e dovemmo buttare via tutto.
Si trattava di ricominciare da capo, con tanta miseria e tanta speranza.