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INTERVISTA A DOMENICO GUALANDI. Testimonianza raccolta da Alice Boschi.
Nonostante il mio bisnonno Domenico sia morto e non ho potuto quindi intervistarlo, mi sono fatta raccontare la sua storia da mio nonno Giuseppe Gualandi e dai miei parenti che, in sua memoria, hanno scritto un libro intitolato “Come cuccioli in mezzo alla tempesta“.
Dovete sapere che Domenico nasce il 25/05/1925 e che durante la Seconda guerra mondiale aveva diciotto anni. Il mio bisnonno essendo in età ritenuta utile per entrare nell'esercito, è stato costretto ad arruolarsi. Dopo qualche giorno è fuggito ed è tornato a casa, ma purtroppo i Carabinieri, tenendo in ostaggio i familiari, lo hanno costretto ad andare in prigione: qui gli hanno tagliato i capelli e lo hanno tenuto senza cibo e acqua per diversi giorni.
Proprio mentre egli era in prigione, questa fu bombardata e crollò il soffitto dell’edificio. Sopravvissuto fu costretto a partecipare agli addestramenti durissimi ai quali venivano sottoposte le giovani reclute, durante l’inverno.
Erano obbligati ad addestrarsi tutto il giorno e a bere nell’abbeveratoio dei cavalli e spesso l’acqua era gelata. Poi lo hanno trasferito in un piccolo paesino di fronte all’isola d’Elba di nome Usigliano ed è stato costretto a fare la vedetta e a dormire dentro ad un pollaio pieno di topi. I fascisti lo hanno obbligato a camminare con un grosso zaino e gli hanno dato da mangiare solo pane e acqua, il suo tenente lo minacciava anche con la pistola. Stanco di questa situazione e contrario a tutte quelle cattiverie che i fascisti stavano compiendo su tutto il territorio italiano, ha deciso di lasciare l’esercito e disertare. Si trovava a Cecina quando ha deciso di scappare assieme ad un suo amico di Montese il sig. Stelio Credi. Da Livorno hanno attraversato campi, boschi, torrenti, sempre di notte per paura di essere trovati e sono riusciti ad arrivare a casa.
Hanno sempre mangiato quello che trovavano: frutta, verdura, addirittura radici, bacche, quando non riuscivano a trovare da bere cercavano di mangiare dei cetrioli. Alcune volte sono stati aiutati da altri partigiani e dalle famiglie di questi partigiani. Una famiglia regalò loro addirittura i vestiti del figlio, partito anche lui per la guerra, e finalmente poterono togliersi la divisa militare e nascondersi meglio. Lungo il viaggio si lavavano durante i temporali e si asciugavano al sole. Hanno impiegato mesi per arrivare a Montese, il viaggio è stato lungo e molto faticoso. Una voltaarrivati a Montese si sono sempre dovuti nascondere perché, essendo considerati disertori, se li avessero trovati sarebbero stati torturati e fucilati.
Sono stati per diversi mesi costretti a nascondersi sotto lo sterco delle mucche per riuscire a sfuggire ai raid sempre più frequenti che facevano i tedeschi. Qualche volta lui e i suoi amici hanno dormito in soffitta dietro ad un armadio. Intanto la guerra continuava ed i fascisti diventavano sempre più cattivi; mi ha raccontato il nonno Giuseppe che un gruppo di soldati tedeschi caricarono tre Montesini su un camioncino, li portarono davanti al cimitero e li fucilarono senza un reale motivo e senza nessuna pietà verso un essere umano.
Un'altra volta catturarono a Maserno un amico del mio bisnonno di nome Carlo Bernardoni, si fecero dare dalla signora dei tabacchi un contenitore di cemento abbastanza grande da poter intrappolare un uomo, lo legarono e lo portarono in Toscana.
Solo dopo dieci anni il mio bisnonno ha scoperto, grazie ad un contadino toscano che Carlo venne ucciso senza pietà.
Da Montese Domenico con altri suoi amici andarono a Rocchetta, e poi a Montefiorino dove hanno vissuto nascosti con gli altri partigiani e hanno formato la Divisione Garibaldina di Armando.
Si nascondevano ovunque: una volta si sono nascosti dentro ad una stalla, sotto le pecore e c’era una puzza terribile perché era estate. I partigiani per non essere scoperti si erano dati dei soprannomi, per esempio il mio bisnonno si chiamava Tempesta. Tutti mi hanno detto che era proprio una tempesta e che ha guidato ed aiutato diversi partigiani. Ci sono stati tanti scontri, la popolazione li teneva sempre informati e spesso li aiutava portando loro qualcosa da mangiare e da bere. Una volta lo hanno aiutato a mettere degli alberi in mezzo alla strada per impedire che passasse un camion pieno di tedeschi. Bloccata la strada i soldati furono costretti a proseguire a piedi e senza tante armi, il mio bisnonno e i suoi compagni attaccarono i tedeschi, ne uccisero diversi e fecero sette prigionieri che consegnarono agli americani. Dopo Montefiorino andarono a Lizzano dove ci fu lo scontro più grande. Qui, però, il mio bisnonno cadendo da un muro alto sei metri si ruppe il femore ed il bacino.
I suoi amici lo trasportarono e lo nascosero dentro ad una stalla, ma gli venne la febbre alta ed entrò in coma. Per farlo riprendere dal coma gli misero una pietra rovente in bocca che gli bruciò il palato ed il naso, ma si riprese. Lo portarono di nascosto all’ospedale di Firenze, dove conoscevano dei dottori partigiani. Nel frattempo la guerra stava per finire e hanno portato il nonno all’ospedale Rizzoli di Bologna dove è rimasto ingessato e ricoverato per cinque anni fino al 1949 quando aveva ventiquattro anni. Da allora ha sempre zoppicato e non riusciva a mettersi da solo le scarpe ed è stato operato tante volte. Al mio bisnonno sono state date diverse medaglie al valore e diplomi d’onore al combattente per la libertà d’Italia.
E’ stato proprio un forte combattente e noi in famiglia siamo tutti fieri di lui.