- La nascita
- I rapporti con il Regio Esercito
- Le prime operazioni belliche
- L'organizzazione
- L'educazione della gioventù
- Il Tribunale speciale per la difesa dello Stato
- Il nuovo ordinamento
La nascita
"Lo squadrismo non può non deve morire […] Le squadre cesseranno di essere organi di un partito per diventare organi dello Stato" scriveva Mussolini su Il popolo d'Italia il 24 ottobre 1922 alla vigilia della marcia su Roma. Fu il Gran consiglio del fascismo a dare vita nella seduta del 12 gennaio 1923, approvando la relazione di una commissione appositamente costituita il 15 settembre 1922, ad un nuovo organismo battezzato Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, istituzionalizzato col R.D. 14 gennaio 1923.
Nel primo articolo del decreto si legge: "La Milizia per la Sicurezza Nazionale è al servizio di Dio e della Patria italiana, ed è agli ordini del Capo del Governo. Provvede con i corpi armati per la pubblica sicurezza e con il Regio Esercito a mantenere all'interno l'ordine pubblico, prepara e conserva inquadrati i cittadini per la difesa degli interessi dell'Italia nel mondo".
Tale principio era ribadito in un articolo di Agostino Lanzillo sull'organo del partito del 10 novembre 1922: "La funzione dello squadrismo non è esaurita, perché la possibilità di Mussolini di salvare il paese è connessa strettamente alla esistenza delle forze squadriste nel paese".
Nella prefazione alla raccolta delle deliberazioni del Gran consiglio del fascismo nei primi cinque anni di vita, Mussolini tornò sull'argomento: "La creazione della Milizia è il fatto fondamentale, inesorabile che poneva il governo sopra un piano assolutamente diverso da tutti i precedenti e ne faceva un Regime, il Partito armato conduceva al Regime totalitario".
Lo scioglimento: "di tutte indistintamente le formazioni a tipo o inquadramento politico-militare" riguardò anche le formazioni paramilitari dei 'Sempre avanti' e le camicie azzurre nazionalistiche che furono assorbite nella milizia. Veniva così normalizzato il fenomeno dello squadrismo con tutta la sua carica di violenza rivoluzionaria e si conservava nelle mani del capo del governo uno strumento militare da usare contro l'opposizione. In un discorso pronunciato nel 1924 Mussolini parlò di: "tenere a bada tutti coloro che abbiamo risparmiato".
Il quadrumviro De Vecchi nelle sue memorie se ne attribuisce il merito: "Bisogna dare un comando unico alle squadre, dissi tra l'altro, e creare una Milizia fascista del tipo delle milizie paesane che esistevano in Piemonte nel Cinquecento. Quelle erano agli ordini dei Principi e per noi, che non abbiamo principi, i comandanti naturali dovranno essere i capi locali".
Mussolini accettò la proposta ma precisò: "Ricorda, però che non otterrai mai che il Comandante sia uno solo". Sempre secondo De Vecchi fu sua la scelta dei comandanti: "Balbo, che se ne è occupato fino adesso, dissi. Quel Gandolfo, con tutto il rispetto per la sua medaglia d'oro non serve. Un altro potrebbe essere il generale De Bono che già conosci". Le memorie del quadrumviro piemontese, il più monarchico dell'entourage fascista, sono un inno alle sue capacità diplomatiche e militari, impregnate di una assoluta mancanza di modestia che confermano il giudizio di 'Intrepido buffone' che né dava il duce.
In pratica il 'primo comandante generale' della milizia fu De Bono (1 febbraio 1923-31 ottobre 1924), al quale succedette Balbo (fino al 21 novembre 1924). Entrambi si dovettero dimettere a seguito dell'omicidio di Matteotti e di un processo per diffamazione contro La voce repubblicana per l'omicidio di don Minzoni. Seguì De Vecchi fino al 10 luglio 1925, quando per le sue intemperanze fu rimosso ed 'esiliato' nella lontana Somalia con la carica di governatore. Il successore generale Gandolfo, dopo la sua morte improvvisa (31 agosto 1925), fu sostituito dal principe Maurizio Gonzaga il quale chiese al re l'autorizzazione a ricoprire la carica. Dal 9 ottobre 1926 fu Mussolini ad assumerne il comando generale fino alla fine del regime, delegando l'effettivo esercizio del comando al capo di stato maggiore della milizia il quale, alla pari degli altri capi di stato maggiore, era alle dipendenze del capo di stato maggiore generale. Capi di stato maggiore furono Franco Sacco (1 febbraio 1923-1 dicembre 1924), Enrico Bazan (1 dicembre 1924-23 dicembre 1928), seguiti da Attilio Teruzzi, Luigi Russo, Achille Starace e Enzo Galbiati.
La creazione di un organismo centralizzato i cui membri, in un primo tempo, non prestavano giuramento di fedeltà al re, restando così un organismo di parte, fece nascere diffidenze e malumori tra molti capi delle squadre di azione, i cosiddetti ras, che avevano guidato gli squadristi nelle province ove la lotta ai 'sovversivi' era stata più cruenta, gelosi del loro potere politico determinato dalla loro autonomia e dall'ascendente che godevano tra i fascisti. Il fenomeno veniva rilevato da Francesco Giunta: "In qualche altra regione c'è questo fenomeno; che qualche capo del fascismo o capo delle organizzazioni politiche ha fatto nella propria zona una specie di regime feudale a suo uso e consumo
Scriveva invece Farinacci nell'agosto 1923: "Non è possibile fare della milizia un corpo militare, ma Mussolini già nel discorso in cui aveva chiesto la fiducia per il suo primo governo aveva dichiarato: "Lo Stato dimostrerà la sua forza anche contro l'eventuale illegalismo fascista" e subito dopo la marcia su Roma ordinò a De Bono di fare rientrare alle loro sedi in ventiquattro ore i 'marciatori' che bivaccavano nella capitale.
Di fronte alla recrudescenza della violenza delle squadre fasciste il ministro degli Interni Federzoni non esitò ad invitare i prefetti allo scioglimento delle formazioni, ma il malessere tra i capi, che avevano portato il futuro duce al potere, non doveva essere lieve se 33 consoli irruppero nello studio di Palazzo Venezia il 31 dicembre 1924 contestandogli la 'mancata rivoluzione'. Mussolini, dotato di grande istinto tattico, li ringraziò per avergli tolto "la nube che aveva davanti agli occhi", ma successivamente ridimensionò il loro peso e il loro avvenire politico.
Il Regolamento di disciplina del marzo 1923 si richiamava alla disciplinata e mistica obbedienza che avrebbe dovuto caratterizzare il nuovo corso. "Base della disciplina è l'obbedienza dovuta dall'inferiore al superiore. L'obbedienza deve essere cieca, pronta, rispettosa e assoluta" si legge all'articolo sei e ancora: "[la camicia nera] ambisce, come premio sommo della sua fede, il sacrificio".
Prima del'istituzione della milizia i fascisti, componenti delle squadre d'azione si chiamavano 'principi', mentre 'triari' erano denominati gli iscritti. I militi svolgevano la propria attività lavorativa e si presentavano ai reparti in caso di adunanze, cerimonie e spedizioni punitive. L'armamento era modesto, fucile 91, moschetti, qualche mitragliatrice; le armi cedute in buona parte dall'esercito erano in carica alla milizia e in consegna ai reparti.
La milizia iniziò la sua vita a Roma svolgendo servizi di guardia al carcere di Regina Coeli, vi fu poi un primo turno di guardia al palazzo reale al quale parteciparono tre generali in congedo: "che si fecero bravamente il loro turno di sentinella" scrive De Bono. Il re, uomo caustico per eccellenza, li passò in rivista ma la storia non ha raccolto il suo giudizio.
Dopo la conquista del potere vi fu il classico assalto al carro dei vincitori da parte degli immancabili profittatori. Cesare Maria De Vecchi, generale, quadrumviro, decorato di tre medaglie di argento e due di bronzo, condannato a morte in contumacia nel 1944 per alto tradimento al processo di Verona, scriveva nel 1923: "[La milizia] era sulla strada di diventare un brutto copione dell'esercito [e che] nelle sue file si rifugiavano ufficiali di tutti i gradi non già per convinzione o per entusiasmo ma solo per ragioni economiche".
De Bono aggiungeva: "Le domande di ufficiali in congedo dell'esercito e anche della marina per entrare nei ruoli della nuova milizia furono, invero, centinaia e centinaia".
Si trattata, nella maggioranza dei casi, di ufficiali che avevano lasciato il servizio per riduzione dei quadri e le cui condizioni economiche in molti casi erano estremamente precarie.
I rapporti con l'Esercito
I rapporti tra la milizia 'guardia armata della Rivoluzione' e i quadri delle forze armate, definiti dall'Idea nazionale il 10 gennaio 1924: "non ostili ma guardinghi e diffidenti", furono formalmente corretti.
Esisteva nei quadri un forte risentimento nei confronti delle rapidissime carriere di alcuni gerarchi fascisti nella milizia come Farinacci esonerato dal servizio militare in guerra perché ferroviere, Balbo capitano degli alpini e Galbiati che, ultimo capo della M.V.S.N., non muoverà un dito in soccorso del sue duce fatto arrestare dal suo re.
In pratica la milizia fu sempre snobbata e vista con sufficienza dalle gerarchie militari. Giurati, segretario del partito nel 1931, annotava: "L'alto comando si è tenuto estraneo al rivolgimento compiuto dal Fascismo".
Racconta De Bono che quando unitamente a De Vecchi si fece ricevere da Diaz, all'epoca ministro della Guerra, per ottenere lo scambio del saluto militare tra i due organi: "Il generale fu gentilissimo; si discorse un poco, ma trovammo porta chiusa, stimammo quindi non opportuno insistere per il momento. Il Duce approvò la nostra condotta".
De Vecchi invece, presentatosi a una udienza reale in divisa di generale della milizia, fu accolto con le parole "Cum' a l'è bel, vestì da general" e con una risata del re che lo trattava con una certa dimestichezza.
Il ministro della Guerra Di Giorgio, uomo di fortissimo carattere, nella seduta del Senato del primo aprile 1925 dichiarò: "Di giuramenti il soldato non ne presta che uno", sollevando le rimostranze di alti ufficiali che si erano iscritti al partito fascista.
Il comandante generale della milizia generale Gandolfo, che aveva partecipato alla sedizione di Fiume, se ne lamentò con Mussolini: "La frase è offensiva per tutti gli ufficiali e soldati dell'esercito che entrati nella Milizia hanno prestato un secondo giuramento di fedeltà al Re. Come comandante della Milizia devo rilevare la gratuita offesa a quasi tutti i componenti della Milizia stessa nell'aula del Senato".
Il granitico generale siciliano non presentò scuse di alcun genere e si limitò a precisare che si riferiva agli ufficiali in servizio permanente effettivo e non a quelli in congedo.
Fu netta l'opposizione dei vertici delle forze armate all'estensione del saluto fascista a tutti i militari. Si arrivò in seguito allo scambio del saluto fra i reparti militari e quelli della milizia, ma fino al 1928 i militi salutavano militarmente gli ufficiali delle forze armate.
Il capo del fascismo, teso al rassodamento della propria autorità e del potere conquistato, si barcamenava fra i vari poteri cercando di non scontentarli, in un intelligente gioco di mediazioni, pesi e contrappesi. Rivolto all'esercito l'otto giugno 1923 al Senato dichiarò: "C'era un altro problema a proposito dei quadri della Milizia. Il problema di contemperare la necessità dei quadri superiori che dovevano essere affidati ad uomini provenienti dall'esercito e con vasta esperienza militare e personale, col riconoscimento e la gratitudine che si doveva ai piccoli capi dello squadrismo fascista il quale aveva domato, lasciando centinaia di morti gloriosissimi, il sovversivismo demagogico. Abbiamo risolto questo problema. Tutti i gradi superiori a seniore sono assegnati ad ufficiali che vengono dall'esercito, tutti i gradi inferiori, quelli che potrebbero essere chiamati i gradi subalterni e i sottufficiali, sono stati assegnati ad elementi dello squadrismo che hanno sempre un passato militare e che sempre debbono avere qualità morali ineccepibili. Del resto le statistiche valgono sempre più dei discorsi: gli ufficiali superiori della milizia, di grado superiore a seniore vengono per il 97% da ufficiali del Regio Esercito".
Aggiunse, ben conscio delle preoccupazioni dell'esercito di dover dividere con la milizia i magri fondi a disposizione: "Si tratta di assegnare alla milizia compiti che l'esercito, per la sua stessa natura, non può più assolvere. Compiti limitati, specifici, nettamente definiti in modo da evitare contrasti e frizioni", precisando che il mantenimento della milizia sarebbe stato a carico del ministero degli Interni. Inoltre, con un tocco sapiente, assicurò che avrebbe liberato l'esercito dai compiti di ordine pubblico, compiti sgraditissimi che avevano visto reparti militari presidiare luoghi pubblici e intervenire contro manifestazioni considerate sediziose.
Anche Hitler dovette affrontare il problema dei rapporti tra forze armate e formazioni di parte dopo la presa del potere, arrivando alla stessa soluzione: "L'esercito dei soldati della rivoluzione tedesca non intende prendere il posto del nostro esercito o entrare in competizione con esso".
Irrevocabile fu per Mussolini la decisione di affidare alla milizia l'educazione premilitare della gioventù e su questo non fu mai disposto a transigere, conscio della necessità di creare una generazione fascista. Nacque così un enorme, costosissimo carrozzone sul quale il giudizio del generale Di Giorgio, espresso nel 1925, fu come sempre brutalmente chiaro: "Non faccio alcun assegnamento sull'istruzione premilitare propriamente detta. […] La vera istruzione premilitare consiste unicamente nell'educazione fisica. L'istruzione prettamente militare non può essere data che nell'esercito".
Anche per il generale Bonzani, capo di stato maggiore dell'esercito dal febbraio 1929 all'ottobre 1934, la premilitare equivaleva ai primi 15 giorni della ferma militare.
I cattivi rapporti vennero evidenziati dal luogotenente generale Renzo Montagna, che, fedele fino alla fine, sarà l'ultimo capo della polizia della repubblica di Salò. Dopo aver rilevato la mediocrità della milizia ordinaria: "Per la cattiva scelta dei comandanti, specie quelli delle legioni" sostenne che l'esercito: "non aveva acquistato la mentalità e lo stile fascista" e acutamente osservò che fra gli ufficiali: "anche coloro che si professano nostri alleati guardano alla milizia con gli stessi occhi con i quali, durante il Risorgimento, gli ufficiali dell'esercito permanente guardavano a Garibaldi e alle sue camicie rosse".
L'assimilazione fra i due corpi era praticamente impossibile perché i quadri dell'esercito costituivano un gruppo professionalmente e socialmente omogeneo e tradizionalmente legato alla Corona. La storia si ripeterà nel secondo dopoguerra quando vi fu una larvata opposizione all'inserimento di appartenenti a formazioni partigiane nei reparti della polizia.
Lo spirito di corpo dell'ufficialità si era evidenziato anche nei confronti degli ufficiali che avevano lasciato l'esercito per assumere comandi nella Regia guardia di pubblica sicurezza. Il corpo era stato istituito da Nitti nel 1919, con un organico di 25.000 uomini, agli ordini di ufficiali transitati nel nuovo organismo. Inviso ai fascisti con i quali spesso si era scontrato fu sciolto nel 1922 dopo la marcia su Roma. Gli ufficiali riebbero nell'esercito solo il grado e l'anzianità che avevano maturato alla data in cui avevano lasciato il servizio, forse a monito per quelli che divisavano di transitare nella milizia.
Aprendo una nota di colore, a Napoli per molti anni di persone che non erano riusciti in nuove carriere si diceva: "E' fatt a fin da Guardia reggia!"
Augusto Turati, segretario del partito dal 1926 al 1930, poteva consigliare al duce con un promemoria del primo gennaio 1930: "Essere necessaria la fusione tra Regio Esercito e Milizia" con l'obbligo per gli ufficiali di sottoporsi a: "un esame di fede fascista" così: "che l'esercito sia in mano a vecchie e fedeli camicie nere", Italo Balbo poteva avanzare la sua candidatura alla carica di capo di stato maggiore generale e far piani per la nascita di un nuovo e più moderno esercito, ma le cose non cambiarono.
Il secondo finirà la sua carriera politica e la sua vita in Libia, Turati, travolto da uno scandalo mai chiarito, si ritirerà a vita privata.
Le prime operazioni belliche
Nel 1923 la milizia fu per la prima volta chiamata a partecipare a operazioni belliche. Nel mese di settembre tre legioni comandate dal console generale Vittorio Vernè sbarcarono in Libia.
La 132ª Monte Velino di Avezzano con un organico di 52 ufficiali e 977 militi, la 171ª Vespri Siciliani con 35 ufficiali e 689 militi e la 176ª Cacciatori Guide di Sardegna con 51 ufficiali e 1067 uomini vennero acquartierate a Homs, a Misurata Marittima e a Tripoli, relegate al servizio di vigilanza del territorio e di scorta alle carovane.
Va notato che tutti i volontari provenivano dalle regioni più povere del paese, ma Vernè sostiene che la scelta era stata causata dal maggior adattamento alle durissime condizioni climatiche della Libia da parte di elementi provenienti dal Sud. Lo stipendio degli ufficiali era parificato a quello dei parigrado dell'esercito, quello dei militi ai Cacciatori d'Africa, volontari nazionali con una ferma di due anni che, organizzati su due battaglioni, presidiavano la Tripolitania e la Cirenaica.
Il 27 settembre la milizia ebbe il suo primo morto, il centurione Galli cade in un'imboscata a Ras Fulige tra Azizia e Bu Gheilan, unitamente a un tenente dell'esercito. Il battesimo del fuoco avvenne il 27 dicembre nello scontro di Beni Ulid quando agli ordini di Graziani le camicie nere delle legioni Monte Velino e Guide di Sardegna fiancheggiarono il 2° Libico nell'attacco al castello. Troveranno i cadaveri di ufficiali dell'esercito fatti prigionieri a Ras Fulige.
Il generale ciociaro così descrive lo scontro: "Nelle operazioni di Orfella, la sorte mi attribuì l'alto onore di portare al fuoco, per la prima volta, reparti della Milizia Volontaria, […] Rivedo le centurie della Velino e della Sardegna, infaticabili nelle dure marce di avvicinamento; e le rivedo ancora durante la presa del castello di Beni Ulid, gareggiare coi battaglioni indigeni, in slancio e in valore. Fiere della loro missione, esse ricevono così in terra d'Africa il battesimo del fuoco. […] portavano ora in Libia, il monito della Patria e della Vittoria, rivendicate dal Fascismo, ed il soffio della vindice e gagliarda giovinezza italica".
Fu uno dei primi parti dello stile magniloquente e roboante di Graziani che inaugurò lo stile fascista che sarebbe diventato comune tra i capi militari nel decennio successivo raggiungendo l'apogeo in 'Le Forze Armate dell'Italia Fascista' edito dalla Rassegna italiana nel 1939 nel quale i massimi vertici si produssero nella esaltazione della presunta potenza dell'Italia proletaria e fascista in una orgia parolaia che lascia sgomenti a distanza di anni.
Le legioni ebbero così un momento di gloria, ma l'anno successivo tornarono in Italia sostituite da due legioni permanenti la 1ª OEA a Tripoli e la 2ª Berenice a Bengasi. I reparti parteciparono anche all'occupazione di Giarabub e alle operazioni sul Gebel cirenaico, specie con le squadriglie autoblindate della 2ª legione permanente. Le perdite ammontarono a 13 caduti in combattimento, tra cui un ufficiale.
L'organizzazione
La milizia si modellò negli ordinamenti dell'esercito dell'antica Roma, di cui mutuò il fascio e l'aquila e alla cui civiltà e grandezza innumerevoli furono i riferimenti.
L'uniforme era quella dell'esercito, con camicia nera sotto la giubba aperta come quella degli arditi e dei bersaglieri ciclisti, fez nero per i militi e cappello alpino senza piuma sostituito in seguito da un copricapo per gli ufficiali.
La denominazione dei reparti comparati a quelli dell'esercito erano:
Raggruppamento o Comando CC.NN. Isole = Divisione;
Legione = Reggimento;
Coorte = Battaglione;
Centuria = Compagnia;
Manipolo = Plotone;
Squadra = Squadra.
L'organigramma era su base ternaria. Tre squadre formavano un manipolo, tre manipoli una centuria, tre centurie una coorte e tre coorti una legione. Ogni legione aveva un nome, una sede e una zona di reclutamento che rimasero invariati nel tempo. Vi erano tre Magazzini centrali a Torino, Venezia e Caserta. Altre due legioni erano stanziate in Libia.
Per i gradi la comparazione era:
Comandante generale = Generale di corpo d'armata;
Luogotenente generale = Generale di divisione;
Console generale = Generale di brigata;
Console = Colonnello;
Seniore = Tenente colonnello, Maggiore;
Centurione = Capitano;
Capo manipolo = Tenente, Sottotenente;
Capo squadra = Maresciallo, Sergente maggiore, Sergente;
Camicia nera = Caporale maggiore, Caporale, Soldato.
L'organigramma della milizia era così articolato: Comandante generale, Capo di stato maggiore, Sottocapo di stato maggiore, Ufficio del capo di stato maggiore, Ispettorato reparti speciali, Ufficio politico, Ufficio amministrazione e ragioneria, Ufficio legale, Ufficio collegamenti e un Comando di zona per ogni regione.
Gli ufficiali provenienti dall'esercito potevano avere nella milizia un grado di un solo gradino superiore, con l'eccezione di alcune decine di alti gerarchi.
Allo scopo di stemperare il disagio dei quadri delle forze armate per le strabilianti carriere di molti ufficiali della milizia e per darne una migliore immagine all'opinione pubblica si stabilì di sottoporre a esami scritti o orali in materie militari i luogotenenti generali e i consoli generali a Roma e i consoli a Firenze. La commissione esaminatrice fu composta da ufficiali dell'esercito o della milizia che avessero rivestito almeno il grado di colonnello nel Regio Esercito.
Farinacci, ex ferroviere e poi avvocato, per tutto il ventennio tenuto ai margini della vita pubblica e che il 25 luglio 1943 si opporrà vanamente alla risoluzione del Gran Consiglio, si rifiutò di sottoporsi agli esami e si dimise dalla carica di console generale provocando un violento rabbuffo da parte di Mussolini.
Agli esami parteciparono i più bei nomi del Gotha fascista, Grandi futuro ministro degli Esteri, Bottai uomo di cultura e testa pensante del movimento, Tringali Casanova prossimo presidente del Tribunale speciale, Alfredo Rocco insigne giurista e futuro ministro della Giustizia, Galbiati ultimo comandante della milizia. Lo spessore culturale dei partecipanti non doveva essere molto elevato se il presidente della commissione istituita presso il corpo d'armata di Roma osservò: "Dai primi risultati degli esami di console generale della M.V.S.N. ho tratto la convinzione che la grande maggioranza di essi non possegga quel minimo di preparazione militare che pur sarebbe necessaria per la esplicazione delle mansioni inerenti al grado onde essi sono investiti".
Il quattro agosto 1924 la milizia entrò formalmente a fare parte delle forze armate e i suoi componenti giurarono fedeltà al re. Cessati i compiti politici, ossia l'eliminazione fisica degli antifascisti: "che vennero gradatamente a mancare in seguito al rinnovato ordine nazionale" come si legge nell'Enciclopedia militare, si resero necessarie nuove sistemazioni per quelli che Canevari definiva: "I professionisti del disordine" con la creazione di milizie speciali.
Nel 1923 si crearono la milizia portuaria e la milizia ferroviaria che prese il posto della polizia ferroviaria. La milizia postelegrafonica nel luglio 1925, la milizia forestale nel maggio 1926, la milizia confinaria nel 1927 con il compito di cooperare con le altre forze dello Stato per la sorveglianza delle frontiere, la milizia artiglieria contraerei che, costituita nel 1927, assunse nel 1930 la denominazione di Milizia per la difesa antiaerea territoriale (M.DAT). I compiti vennero così riassunti dal generale Giorgio Nobili: "Predisporre in tempo di pace e attuare in tempo di guerra, in concorso con le unità contraerei delle altre forze armate, la difesa del Paese da attacchi aerei nemici". La specialità dipendeva dall'esercito per la parte tecnica, armamenti, addestramento e impiego e dal Comando della milizia per il reclutamento e la disciplina. Nella M.DAT si arruolavano uomini inabili al servizio militare di età superiore ai 40 anni o tra i 18 e i 20, non ancora chiamati alle armi. Vennero altresì incorporati ciechi di guerra utilizzati come aerofonisti per il loro udito ritenuto particolarmente sensibile. Va detto che anche nell'esercito inglese la contraerea riceveva gli scarti dei soldati: "Di 25 nuove reclute, rappresentative dello standard medio, che arrivarono a una batteria, uno aveva un braccio cionco, un altro era mentalmente deficiente, uno non aveva un pollice, uno aveva un occhio di vetro, che gli cadeva ogniqualvolta si chinava sul cannone e due erano affetti da avanzato contagio venereo".
Nel 1928 nacque la milizia stradale. Qualche parola in più meritano i 'Moschettieri del Duce', reparto che formava la sua guardia del corpo, costituito nel febbraio 1923 dalla trasformazione della Squadra d'azione della capitale La Moschettiera. Era composto da 180 professionisti, dirigenti e impiegati già ufficiali di complemento, titoli tutti indispensabili anche per i nuovi moschettieri che nel tempo andarono ad infoltirne le schiere. Il servizio avveniva nel tempo libero dal lavoro, le divise erano confezionate a spese della segreteria del duce. Alla storia sono passati i nomi dei dottori Amerigo Vianello e Carlo Farbi: "i migliori nell'esecuzione dei movimenti meccanici richiesti nei servizi di guardia alla garitta", ignoti sono gli 81 che: "Con l'adozione del passo romano di parata […] scelti fra i più abili prendevano parte alle cerimonie". Dodici moschettieri, armati di pugnale, prestavano servizio all'interno di Palazzo Venezia nel corso delle riunioni del Gran consiglio del fascismo. Sulle lame erano incise le parole 'Ai Moschettieri silenziosi fedeli Mussolini'. A inizio guerra il reparto fu sciolto per permettere ai militi di arruolarsi nei reparti combattenti. Non esistono dati sul numero degli arruolati.
Nelle Norme generali per l'impiego delle grandi unità del 1928 vi è un accenno alla milizia: "Esse comprendono anche reparti dell'Aeronautica per il R. Esercito, della M.V.S.N. ed eventualmente di altre forze armate dello Stato. Le truppe sono: la fanteria, colle sue specialità (ivi comprese le unità della M.V.S.N. e i carri armati) […]". Furono così assegnati due reparti di camice nere a ogni divisione: "preparandosi sin da questo momento ad essere battaglioni d'assalto". Di suo aggiunse Mussolini: "con pugnale tra i denti, bombe alle mani e un sovrano disprezzo del pericolo nei cuori". In pratica andarono a rinforzare solo alcune divisioni.
L'educazione della gioventù
La milizia si dedicò all'educazione premilitare della gioventù che fu inquadrata, secondo l'età, nei reparti balilla e avanguardisti dell'Opera nazionale balilla mentre la milizia universitaria inquadrava i giovani universitari. La milizia svolgeva altresì corsi allievi ufficiali dalla durata di due anni. Nel primo anno si svolgevano 50 ore di lezioni tenute da ufficiali dell'esercito e 60 di istruzione politica tenute da ufficiali della milizia, il tutto integrato da un corso d'armi di 40 giorni presso le scuole d'armi. Nel secondo anno le lezioni teoriche erano divise tra le scuole d'armi di appartenenza. In pratica tutti i partecipanti venivano nominati sottotenenti e prestavano servizio per soli sette mesi. é da notare che per i diplomati, dall'anno 1923, la partecipazione ai corsi allievi ufficiali era obbligatoria anche se gli interessati si ritenevano privi delle qualità per il comando di uomini in guerra.
Il tribunale speciale per la sicurezza dello Stato
Per il Tribunale speciale per la difesa dello Stato i giudici furono scelti tra i consoli con un presidente ufficiale generale delle forze armate. Secondo la legge del novembre 1926: "Chiunque commette un fatto diretto contro la vita, l'integrità o la liberta personale del Re o del Reggente è punito con la morte. La stessa pena si applica se il fatto sia diretto contro la vita, l'integrità o la liberta personale della Regina, del Principe ereditario o del Capo del Governo. [...] Le sentenze del Tribunale speciale non sono suscettibili di ricorso, né di alcun altro mezzo di impugnativa, salva la revisione". Il gerarca Alessandro Melchiori, componente del Gran consiglio, in un discorso tenuto il 14 novembre 1926 reclamò per i reparti della milizia l'onore di formare i plotoni di esecuzione.
Il nuovo ordinamento
Nel 1929, portata a termine la trasformazione dello Stato, si dà alla milizia un nuovo ordinamento con un comando generale a Roma retto dal capo di stato maggiore, quattro comandanti di raggruppamenti e due comandi CC.NN delle isole. 33 sono i comandi truppe retti da consoli generali e 120 le legioni comandate da consoli. Gli ufficiali furono divisi in due categorie. Ufficiali in servizio permanente a loro volta divisi in servizio permanente effettivo regolarmente retribuiti e ufficiali nei quadri con un comando di reparti senza indennità fisse, salvo se di servizio fuori residenza. Ufficiali della riserva che per un anno avevano prestato servizio permanente effettivo.
La milizia al primo dicembre 1929, secondo l'Annuario statistico italiano, aveva un organico di 25.091 ufficiali e 337.314 militi con un aumento nei confronti dell'anno precedente di 5194 ufficiali e 80.645 militi. Alla fine degli anni venti era diventata un mastodontico, farraginoso organismo burocratico.
L'Annuaire militaire de la Societé des nations del 1927 così la descriveva: "La milice volontaire fait partie de la force armée de l'Etat. Ses membres prêtent serment de fidélité au roi e sont astreints aux mêmes mesures disciplinaires et pénales que le membres de l'armée royale' […] est placée sous les ordres du président du Conseil; […] La milice est chargée, d'une manière permanente, de la préparation militaire de l'armée, suivant les principes et règlements que prescrirà le Ministère de la Guerre, sur avis du commandement général de la milice".
L'organizzazione aveva perso la carica rivoluzionaria e l'arditismo che l'aveva caratterizzata nei primi anni del dopoguerra. Soffocata nella violenza e con le leggi speciali l'opposizione, accantonate le grandi ambizioni iniziali, erano venute meno le ragioni che avevano determinato la sua nascita.
Nella seconda guerra mondiale la milizia avrà i suoi eroi. Come l'esercito alternerà pagine di gloria a pagine buie, entrambi appesantiti da dottrine, addestramento, armamenti e equipaggiamenti obsoleti. Basti pensare che la mitragliatrice leggera SIA mod.18 calibro 6,5 considerata nel 1925: "in distribuzione fino a consumazione degli ormai pochi esemplari disponibili" era nel 1943 in dotazione ai reparti della milizia ferroviaria che scortavano i treni in Jugoslavia. La differenza con la brutale, straordinaria efficienza delle Waffen-SS sarà sempre abissale.
Segno dei tempi nuovi, sarà il totale oblio in cui cadrà la figura della camicia nera Carmelo Borg Pisani, maltese di sentimenti italiani, che, dopo aver combattuto in Grecia, si offrirà volontario per una missione segreta a Malta. Sbarcato nell'isola, preso prigioniero, ritenuto un aviatore italiano abbattuto fu in seguito riconosciuto da un suo compagno di infanzia, denunciato, processato, condannato a morte e impiccato il 26 novembre 1942, quando la minaccia di una invasione dell'isola era svanita. Sul muro della cella scrisse "I servi e i vili non sono graditi a Dio".
Carmelo Borg Pisani a 28 anni morì per l'Italia, il suo paese come Cesare Battisti, Nazario Sauro e Damiano Chiesa, ma della sua vita, del suo sacrificio, del suo nome non è rimasta memoria nell'Italia democratica, repubblicana e antifascista.
Note
1. De Vecchi Cesare Maria. Il quadrumviro scomodo. Milano 1983.
2. Tamaro Attilio. Venti anni di storia 1922-1943. Roma 1953.
3. Farinacci Roberto. Cremona Nuova 16.8.1923.
4. Gooch John. Soldati e borghesi nell'Europa moderna. Bari 1982.
5. Graziani Rodolfo. Pace romana in Libia. Milano 1937.
6. Rosignoli Guido. MVSN. Storia, organizzazione, uniformi e distintivi. Parma 1995.
7. Silvestri Mario. La decadenza dell'Europa Occidentale. IV. La catastrofe 1939-1946. Torino 1982.
Articolo di Emilio Bonaiti pubblicato grazie all'autorizzazione dell'autore