Naviga, o corazzata, benigno è il vento e dolce la stagion, Tripoli, terra
incantata, sarà italiana al rombo del cannon.
Sai dove si annida più florido il suol?
Sai dove sorrida più magico il sol?
Sul mare che ci lega coll'Africa d'or,
La stella d'Italia ci addita un tesor.
Tripoli, bel suol d'amore.

- La guerra italoturca
- La rivolta
- La riconquista della Tripolitania
- La Cirenaica
- La deportazione delle popolazioni
- La dottrina
- I gruppi di combattimento mobili
- I corazzati
- L'aeronautica
- I battaglioni eritrei
- I meharisti
- Il cammello
- Rodolfo Graziani
- Il generale Mezzetti

Le uniche operazioni belliche nelle quali un'esigua parte delle forze armate fu impegnata nel corso degli anni venti, furono quelle per la riconquista della Libia definite eufemisticamente operazioni di polizia. Il "cassone di sabbia", la cui estensione territoriale è sei volte maggiore di quell'italiana e di cui solo il 6% si prestava al popolamento, si divideva in tre parti le regioni Tripolitania e Cirenaica che si affacciavano sul Mediterraneo e l'immenso, desertico Fezzan al sud.

La Tripolitania era geograficamente divisa nella Gefara, pianura costiera che arrivava alla catena montuosa del Gebel oltre la quale si stendeva la Ghibla, regione deserta del sud. In Cirenaica la costa era sabbiosa sino a Bengasi, dopo l'altipiano interno arrivava al mare sino al golfo di Bomba e dipoi le coste erano nuovamente basse sino a Tobruch. Poi fino al confine egiziano le coste diventavano alte e rocciose. La parte interna era formata da un altipiano con un'altezza massima di 800 metri che precipitava ripidamente verso la costa e più dolcemente verso l'interno. Alle spalle delle due regioni si trovava il Fezzan privo d'ogni forma di vita, ad eccezione delle rarissime oasi, nel quale si susseguivano pianure pietrose e sabbiose e catene montuose in un paesaggio lunare. Ancora nel 1929 in una monografia del Comando Regio Corpo Truppe Coloniali della Tripolitania sezione studi e informazioni intitolata Il Fezzan si legge: "[…] non è stato possibile avere più dettagliate notizie sui particolari topografici del terreno lontano dalle carovaniere e dalle vie più battute".

Nel panorama del pensiero militare italiano, panorama che si può tranquillamente definire desolante, risalta il casertano Giulio Douhet, il maggior teorico militare degli anni Venti e l'unico la cui opera varcò i confini nazionali, studiata, analizzata, sottoposta ad aspre critiche o accolta con ampi, entusiastici consensi in Europa e in America.

Nato a Caserta il 30 maggio 1869, figlio di un ufficiale farmacista nizzardo, entra nel 1886 nell'Accademia militare di Torino, l'accademia delle armi dotte, uscendone col grado di sottotenente di artiglieria nel 1889. Dopo la Scuola di applicazione di artiglieria e genio, nel 1890 presta servizio come tenente nel 5° Reggimento di artiglieria da campagna, nel 1895 è ammesso alla Scuola di guerra di Torino per i prescritti tre anni e nel 1899, superati brillantemente gli esami, presta servizio di stato maggiore presso l'VIII corpo d'armata di Firenze. Promosso a scelta capitano nel 1900, dopo dieci anni nominato maggiore sempre a scelta, deve lasciare la sua arma di appartenenza per la fanteria transitando nel prestigioso 2° reggimento bersaglieri, stanziato a Roma.

Ambizioso, intelligente, con grandi capacità lavorative e autorevoli amicizie, ha sposato la figlia del senatore Casalis ricco e influente uomo politico, ha una carriera per i tempi abbastanza veloce, con limitati trasferimenti nell'ambito del Piemonte e regioni limitrofe, salvo il comando a Roma, in anni in cui gli ufficiali, sempre alle prese con problemi economici, venivano sballottati da un lato all'altro della Penisola. Si mise in luce con studi sull'elettronica e sullo sviluppo automobilistico che illustrò in una serie di conferenze nei circoli militari e sulla Rivista militare italiana. Pur conscio della superiorità dell'autotrasporto su quello ippotrainato, era stranamente oppositore: "all'impiego, diremo così tattico, degli automobili per lanciare riserve nel punto più opportuno del combattimento, no, assolutamente no", ritenendo assurdo: "che tutta la fanteria dell'esercito dovrebbe essere provveduta di automobili". Ribadiva il concetto: "[nelle] operazioni strategiche e tattiche l'automobilismo non potrà apportare che lievi vantaggi che chiamerei quasi di comodità". Aggiungeva: "[…] relegato in seconda linea, umile, per quanto utile, mezzo di trasporto di razioni di pane e di quarti di bue".

Dal febbraio 1904, all'epoca aveva il grado di maggiore, stese una serie di articoli sulla guerra russogiapponese per il giornale genovese Caffaro a firma "Il Capitano X.", articoli nei quali si avventura in congetture e previsioni varie in quanto le notizie arrivavano con estrema lentezza e vaghezza dal lontano Estremo oriente, ma, a differenza di molti, è sicuro della vittoria del Davide Giappone contro il Golia russo. Dai suoi articoli si evidenzia la capacità, partendo da dati approssimativi, di arrivare a conclusioni logiche.